Eziologia del disturbo d’ansia

Eziologia del disturbo d’ansia

Le cause eziologiche del disturbo d’ansia non sono chiare; si suppone che fattori di tipo biologico, psicologico e ambientale contribuiscano all’insorgenza. Fattori di rischio riguardano diverse variabili come l’eredità genetica, ma anche lo stile genitoriale, le possibili psicopatologie genitoriali e il temperamento inibito del bambino (Pop-Jordanova, 2019).

Se almeno un genitore presenta un disturbo d’ansia, il rischio che anche il figlio ne sia affetto aumenta. Il rischio aumenta esponenzialmente se entrambi i genitori ne soffrono (Al-Biltagi & Ali Sarhan, 2016).

Stili genitoriali iperprotettivi, ipecontrollanti, ipercritici e trascuranti sono fattori di rischio, soprattutto se il bambino presenta un temperamento inibito, poiché vengono rinforzati meccanismi di coping disfunzionali (Al-Biltagi & Ali Sarhan, 2016). Altri fattori di rischio sono rappresentati dalla mancanza di relazioni protettive con figure di riferimento adulte (Al-Biltagi & Ali Sarhan, 2016), ed eventi ambientali stressanti, come le alte aspettative dei genitori e degli insegnanti, le ambizioni irrealistiche e le pressioni scolastiche.

È comune che bambini sotto stress sviluppino sintomi psicosomatici, con una prevalenza del 2.39% (Walsh et al., 2021), con sintomi riguardanti stanchezza, mal di testa, mal di stomaco, mani sudate e pianto, comportamenti nervosi, di fuga, atteggiamenti aggressivi, difensivi e autoconsolatori, nonché disturbi d’ansia (Pop-Jordanova, 2019).

Inoltre, l’esposizione prematura a eventi traumatici, come catastrofi naturali, ospedalizzazioni precoci, perdita dei genitori, abusi, trascuratezza, ma anche il divorzio e la separazione dei genitori, aumenta il rischio di sviluppare disturbi d’ansia e depressione (Elmore & Crouch, 2020).

Disturbi d’ansia nell’infanzia

Disturbi d’ansia nell’infanzia

I disturbi d’ansia nell’infanzia secondo il PDM 2 0/18 ‘Per i bambini e gli adulti l’esperienza dell’ansia dipende da una valutazione delle potenziali strategie di coping’ (PDM 2 0/18, 2018, p.156).

L’ansia può essere intesa come uno stato d’animo che mette in moto le risposte di coping adattive ma anche le azioni disadattive. La capacità di affrontare l’ansia determina, in certa misura, il proprio benessere emotivo. I fattori di rischio rilevanti nello sviluppo dei disturbi d’ansia sono:

i fattori biologici, ‘evidenti nel temperamento già nei primi mesi di vita’ (PDM 2 0/18, 2018, p.156);

i fattori familiari, ‘attaccamento insicuro, conflitti coniugali ed elevati livelli di critica e ipercontrollo genitoriale’ (PDM 2 0/18, 2018, p.156)

ed infine i disturbi dell’apprendimento, il rifiuto da parte dei coetanei ed il bullismo.

L’ansia può manifestarsi nei bambini sotto diverse forme, tuttavia la diagnosi di tale disturbo può essere formulata solo qualora ‘l’esperienza d’ansia di un bambino causa un disagio significativo per un esteso periodo di tempo e/o interferisce con la sua capacità di partecipare alle normali attività della vita quotidiana’ (ibidem, p.156). Scendendo nel particolare possiamo analizzare quale sia l’esperienza soggettiva dei disturbi d’ansia nell’infanzia. I bambini ansiosi tendono a preoccuparsi eccessivamente risultando particolarmente richiedenti e “appiccicosi”, ma rischiano anche di mostrarsi come ostili e controllanti a causa delle richieste pressanti generate dal tentativo di evitare situazioni che possono renderli ansiosi. Questa varietà di comportamenti messi in atto rischiano talvolta di essere fraintesi dai genitori che spesso rispondono con punizioni o rabbia, causando l’attivarsi di un circolo vizioso di interazioni negative, che conducono sia a continui stati ansiosi, sia a un aumento del conflitto familiare (PDM 2 0/18, 2018, p.156). L’immaginazione, il pensiero e il comportamento sono condizionati dall’umore ansioso ed è per questo che ‘i bambini ansiosi si aspettano o immaginano che possano accadere loro delle brutte cose; nel modo di comportarsi, evitano o si ritirano dalle attività comuni, o possono lanciarsi verso di esse in modo controfobico’ (PDM 2 0/18, 2018, p.156).

Incubi, disturbi del sonno e del comportamento alimentare e comportamenti regressivi sono espressioni comuni dell’ansia nei bambini’ (PDM 2 0/18, 2018, p.156); per ridurre l’esperienza soggettiva dell’ansia vengono spesso utilizzati dei meccanismi di difesa (es negazione, spostamento). Tendenzialmente i bambini ‘negano di provare l’ansia, ma lamentano invece dei sintomi somatici’ (PDM 2 0/18, 2018, p.156). Rilevare l’ansia nei bambini non è sempre facile in quanto essi possono mascherarla, involontariamente, attraverso un comportamento oppositivo o un atteggiamento di indifferenza.

Disturbi d’ansia secondo il DSM-5

Disturbi d’ansia secondo il DSM-5

‘I disturbi d’ansia comprendono quei disturbi che condividono caratteristiche di paura e ansia eccessive e i disturbi comportamentali correlati’ (DSM-5, 2013, p.217). La paura e l’ansia sono due stati che si sovrappongono ma che presentano anche delle differenze: ‘la paura è una risposta emotiva ad una minaccia imminente, reale o percepita, mentre l’ansia è l’anticipazione di una minaccia futura’ (DSM-5, 2013, p.217)-

 La prima è contrassegnata da picchi di attivazione autonomica necessaria alla lotta o alla fuga, mentre la seconda da una tensione muscolare e vigilanza in preparazione al pericolo futuro e a comportamenti prudenti o di evitamento. Gli attacchi di panico rivestono un ruolo importante all’interno dei disturbi d’ansia in quanto costituiscono un particolare tipo di risposta alla paura. I disturbi d’ansia si differenziano tra loro per ‘la tipologia di oggetti o di situazioni che provocano paura, ansia oppure comportamenti di evitamento, e per l’ideazione cognitiva associata’ (DSM-5, 2013, p.217); nonostante ciò presentano un alto grado di comorbilità tra di loro.

‘I disturbi d’ansia differiscono dalla normale paura o ansia evolutive perché sono eccessivi o persistenti rispetto allo stadio di sviluppo. Essi differiscono dalla paura o dall’ansia transitorie, spesso indotte da stress, perché sono persistenti (durano tipicamente 6 mesi o più) ’ (DSM-5, 2013, p.217), questo criterio presenta comunque un certo grado di flessibilità di durata,  infatti certe volte nei bambini è di durata minore. ‘La valutazione primaria per stabilire se la paura o l’ansia siano eccessive o sproporzionate è fatta dal clinico, tenendo conto di fattori culturali contestuali’ (DSM-5, 2013, p.217). Molti dei disturbi d’ansia si verificano in età infantile, prevalentemente nelle femmine rispetto ai maschi, e tendono a protrarsi nel corso dello sviluppo se non vengono curati. Se i sintomi non sono attribuibili agli effetti di un farmaco/sostanza o non sono meglio spiegati da un altro disturbo mentale si può fare una diagnosi di disturbo d’ansia.

Bibliografia:
American Psychiatric Association (2013). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi men[1]tali, Quinta edizione (DSM-5), trad it. Cortina, Mila

Disturbi d’Ansia: Caratteristiche e Criteri Diagnostici nel DSM 5 (test-psicologici.it)

Hikikomori

Hikikomori

L’hikikomori rappresenta una grave forma di ritiro sociale, diffusa tra i giovani ed è attualmente oggetto di allarme e preoccupazione nelle società urbanizzate e tecnologicamente avanzate.


Hikikomori deriva dai verbi giapponesi hiku (tirare indietro) e komoru (ritirarsi) e porta l’attenzione sull’aspetto principale del fenomeno, ovvero il ritiro e l’isolamento dell’individuo dalle relazioni sociali. Il termine può riferirsi sia a colui che ne è afflitto sia alla condizione stessa, vale a dire un comportamento sociale singolare che consiste in un’autoresclusione volontaria. Il primo studio, che ha suggerito l’esistenza di una nuova condizione caratterizzata da ritiro sociale, risale alla fine degli anni ’705, quando alcuni professionisti della salute mentale giapponese avevano riportato casi di taikyaku shinkeishou (nevrosi da ritiro).

Tuttavia, è alla fine degli anni ’80 che il termine hikikomori inizia a essere utilizzato per indicare giovani che si confinano nella propria stanza, rinunciando alle relazioni interpersonali per un periodo prolungato di tempo, della durata di almeno sei mesi in assenza di altri disturbi psichiatrici che spieghino il sintomo principale di ritiro.
Il Ministero della Salute, del Lavoro e del Welfare del Giappone ha stabilito cinque criteri per la definizione dell’hikikomori (Ito et al, 2003):

  1. stile di vita centrato sul restare chiuso in casa;
  2. mancanza di interesse e volontà a frequentare la scuola o a lavorare;
  3. persistenza dei sintomi oltre i 6 mesi;
  4. esclusione di disturbo dello spettro della schizofrenia, di disabilità intellettiva o altri disturbi mentali
  5. esclusione di coloro che, pur non mostrando interesse per la scuola o il lavoro, mantengono relazioni interpersonali.

Sebbene tali condizioni siano state riscontrate prevalentemente all’interno dei confini nipponici, la letteratura scientifica riporta casi anche in Spagna, Oman, Stati Uniti, Italia e in altre nazioni.
Negli ultimi anni anche in Italia l’hikikomori ha attirato l’attenzione dei clinici e dei ricercatori (ricci, 2008;2009).
Nello specifico, l’interesse è rivolto al comportamento di ritiro sociale messo in atto da adolescenti, prevalentemente maschi, che si allontanano dai contesti generalmente frequentati da altre persone e/o coetanei, come la scuola e il luogo di lavoro, riducendo progressivamente i contatti con il mondo esterno.


Bibliografia
Ito J, Ikehara K, Kim Y, et al. Community Mental Health Intervention Guidelines aimed at Socially Withdrawn Teenagers and Young Adults. Tokyo: Ministry of Health, Labour & Welfare 2003.
Ricci C. Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione. Milano: Franco Angeli, 2008.
Ricci C. Narrazioni da una porta chiusa. Roma: Aracne Editrice, 2009.
Gli effetti della meditazione

Gli effetti della meditazione

In ambito clinico, accanto alle terapie convenzionali, oggi più che mai si stanno affiancando da un lato le terapie complementari, dall’altro quelle alternative.

La meditazione rientra proprio nelle terapie complementari, pratiche finalizzate alla prevenzione, al trattamento delle malattie o alla promozione della salute.

La meditazione può essere definita come uno stato di puro benessere, di consapevolezza, di osservazione e di attenzione. È una condizione non tanto da raggiungere, quanto da riconoscere; una condizione mentale di quiete, di unità. Si basa su un’osservazione silente, senza filtri, priva di pregiudizi. La sua pratica non resta circoscritta a momento specifico della meditazione, ma si estende al resto dell’esistenza quotidiana al punto da favorire un profondo mutamento del proprio essere nel mondo. Mediante la meditazione il soggetto viene invitato a focalizzarsi sulla respirazione anche per favorire la concentrazione.

Esistono vari tipi di meditazione, ognuna con caratteristiche specifiche, modi di azione a livello fisico, psichico e psicologico. Esse sono accomunate dal fatto di comportare un addestramento volontario da parte della persona della propria attenzione e consapevolezza. Gradualmente, nel tempo, la meditazione è stata impiegata anche in ambito clinico. In questo senso, non solo offre una possibilità per ridurre le sofferenze , ma rappresenta un modo per rafforzare anche l’autostima del paziente.

Questa attenzione per la meditazione si inserisce in un contesto in cui si sta passando da un modello biomedico a un modello biopsicosociale in cui l’individuo viene considerato in senso olistico, come unità di corpo e mente e su cui influiscono anche i fattori del contesto sociale in cui vive.
Ricerche asseriscono che la meditazione è in grado di ridurre indurre vere e proprie modifiche a livello neurocerebrale andando a modulare la corteccia cerebrale.

La pratica della meditazione è in grado di favorire l’esecuzione di compiti mnemonici, favorisce inoltre il ricordo libero degli eventi.
La meditazione può ridurre i rischi cardiaci e i rischi di altri disturbi cronici (pressione sanguigna, stress psicologico ecc.). Essa può anche fungere da supporto in un approccio psicoterapeutico.

La pratica costante della meditazione è anche in grado di rafforzare il sistema immunitario nelle persone sane in un ambiente lavorativo e di accentuare i vissuti emotivi positivi. Essa favorisce le quiete mentale, il senso di gratitudine e la riduzione delle preoccupazioni.