La lettura ad alta voce svolge una funzione di intrattenimento e di arricchimento del vocabolario. Negli ultimi anni si sta diffondendo un nuovo modo di leggere ai bambini: la lettura dialogica o lettura dialogata.
La lettura dialogica ha come obiettivo quello di coinvolgere il bambino, permettendogli di assumere un ruolo attivo nella costruzione della storia e diventando man mano un piccolo story teller. La lettura dialogica è stata descritta per la prima volta da Whitehurst et al. (1988) come un particolare tipo di lettura condivisa che prevede che l’adulto ponga domande strategiche e risponda alle curiosità del bambino, introducendo nuove informazioni mentre si sta leggendo.
Le conversazioni tra genitore e bambino rappresentano un’occasione per il bambino per esercitarsi a parlare, ricevendo feedback da parte dell’adulto che è in grado di correggere eventuali errori. I libri e gli albi illustrati offrono ai genitori occasioni per interagire con i bambini, stimolando il dialogo e le interazioni. Il costrutto dell’alfabetizzazione emergente prevede di introdurre i bambini alla lettura e alla scrittura molto prima che essi siano effettivamente in grado di leggere e scrivere, ossia ancor prima che abbiano sviluppato le capacità percettive e cognitive necessarie.
Le teorie più attuali di insegnamento alla lettura propongono di dare importanza alla dimensione narrativa, come auspicava Jerome Bruner nell’opera La mente a più dimensioni (2005). Secondo l’autore, la narrativa è un dispositivo cognitivo che aiuta l’individuo a prendere coscienza degli eventi e ad interpretare diverse situazioni umane. La tendenza umana ad organizzare le esperienze vissute e a comunicarle agli altri in forma narrativa svolge la sua funzione principale nella costruzione del sé, considerata come la più complessa opera d’arte che un uomo possa concepire, perché è caratterizzata da molteplici racconti costruttori del sé, ordinati cronologicamente e raggruppati a costruire l’identità. Quando ci raccontiamo a noi stessi e quando ci raccontiamo agli altri, creiamo e modifichiamo la nostra identità attraverso la narrativa. Se non esistesse il sé narrativo e non avessimo la capacità di narrare storie su noi stessi, non esisterebbe il concetto stesso di identità.
La lettura non è da intendersi quindi come un meccanismo passivo di acquisizione di informazioni, ma come un processo di produzione di senso e di significato. Secondo Bruner ciò avviene perché la finzione letteraria crea una tensione dialettica tra l’ordinario e il possibile, ovvero “pur prendendo le mosse dal familiare, ha lo scopo di superarlo per addentrarsi nel regno del possibile, di quel che potrebbe essere/essere stato/essere forse in futuro”. Questa particolare funzione svolta dalla narrativa viene definita da Bruner come una “congiuntivizzazione della realtà”, che stimola a domandarsi: “cosa accadrebbe se…?”. Pertanto i racconti (e la letteratura in generale) non dovrebbero suggerire soluzioni, bensì dilemmi, enigmi, domande. La favola si presta particolarmente bene a questo lavoro, grazie al suo valore diacronico.
Reinterpretare una favola classica, cambiando le sue variabili (personaggi, eventi), oppure trasformarla in qualcosa di completamente diverso (un fumetto, ad esempio) può stimolare i bambini ad immaginare molteplici esiti e conclusioni e portarli ad assumere un atteggiamento positivo nei confronti di quello che sembra incerto e spaventoso. La narrazione, e in particolare la lettura ad alta voce, può essere considerata quindi anche uno strumento di alfabetizzazione emotiva.
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